8 marzo: una data, una storia. L’8 marzo è La festa della donna. Una data simbolo, che continua a ricordarci, se vogliamo ricordare, che le società della nostra epoca, contraddistinte dall’essere parte di quella che viene chiamata “globalizzazione”, vede l’emancipazione della donna come una cosa ancora “di là da venire”.


Questo non riguarda soltanto i paesi cosiddetti in via di sviluppo, quelli considerati non democratici, come i paesi con un regime teocratico al potere o comunque fortemente islamizzati e nelle istituzioni e come consenso popolare di massa. Nei cosiddetti paesi occidentali, nelle “democrazie compiute” abbiamo evidenti disparità di trattamento economico e normativo fra uomini e donne, ma quel che è peggio, è che si stanno sviluppando contemporaneamente comportamenti prevaricanti nei confronti delle donne, che si mostrano in tutta la loro brutalità con l’aumento esponenziale dei casi di violenza domestica, e un attacco, come si evince dal caso Italiano, a leggi che rappresentano dei bastioni della lotta per la difesa dei diritti delle donne e per la loro emancipazione, quali la legge sul divorzio e quella sull’aborto.


Ci troviamo di fronte, nel caso della violenza sulle donne, a una dimostrazione di prevaricazione interclassista, perché al contrario di quanto declinato dai luoghi comuni, dalla violenza non sono esenti donne e uomini di cultura, con lavori ben retribuiti e di prestigio. 


Donne manager, imprenditrici, donne di successo: “arrivate”, secondo i canoni di questa società iper competitiva, si ritrovano in buona compagnia con donne del popolo, provenienti da situazioni di disagio conclamato, immigrate da paesi in guerra o per fame e miseria.


D’altra parte l’attacco a leggi che hanno rappresentato non solo per l’Italia, una pietra miliare contro il maschilismo, il sessismo, e un’idea patriarcale di società, vengono messe in discussione con un attacco strisciante che passa per la modalità assunta in questi ultimi decenni e oramai ampiamente sdoganati dalla pratica della creazione delle leggi per decreto con l’esautoramento totale dell’assemblea parlamentare.


Il decreto Pillon ne è un esempio lampante, con lo stravagante e pericoloso obbligo della mediazione familiare fra i coniugi, peraltro pagata dagli stessi genitori in caso di proposta di divorzio in presenza di figli, che mette in chiara difficoltà la donna la quale per molteplici ragioni si trova in condizioni di inferiorità e spesso di dipendenza. Ciò comporta che nel caso specifico, saranno le donne più deboli economicamente, quindi coloro che si trovano per reddito e per condizione socio culturale più in basso nella scala sociale a dover rinunciare al divorzio e alla possibilità di rifarsi una vita.


Anche Il ritorno in auge dell’assioma per cui una donna userebbe l’aborto come metodo anticoncezionale, rivela la malafede che sta dietro il presunto sostegno alla maternità consapevole.


Salta agli occhi come in verità tutto ciò si pretestuoso e funzionale solo al protrarre un modello maschilista di società. Statisticamente da quando esiste la legge sull’ aborto in Italia i casi di aborto sono scesi drasticamente, perché contemporaneamente è cresciuta l’informazione sessuale e come conseguenza diretta anche l’uso dei profilattici e di altri sistemi anticoncezionali che sicuramente non mettono a repentaglio la vita della donna come l’aborto.


In Italia, in questi anni, abbiamo avuto un peggioramento sistematico di tutte quelle salvaguardie che consentivano alle donne di accedere con più facilità al lavoro, di poterlo mantenere anche con e dopo la maternità. La possibilità di accedere ad asili nidi o servizi sostituitivi degli stessi, si è ridotta sia per l’aumento delle rette, che la chiusura dei servizi stessi in molti casi. Non poter accedere al lavoro, disincentiva anche allo studio, perché viene meno la motivazione all’apprendimento.

Oggi in Italia neanche il 50% delle donne lavora, una delle percentuali più basse tra i paesi europei, il che determina anche una minore capacità di creare ricchezza sociale.


L ‘8 marzo fra storia e leggenda

Il mondo di internet ha favorito il fiorire di leggende , o se preferite di “bufale”. Non fa eccezione la ricorrenza in questione. Migliaia di persone pensano che sia stata scelta in ricordo di un incendio che sarebbe avvenuto in una fabbrica tessile a Nework nel 1908, altri si rifanno ad una l’atto presunto incendio del 1911 a Chicago .


In verità, se ne parlò la prima volta nel 1909 ad una assemblea del Partito Sociaista Americano, in cui si scelse una data per festeggiare la lotta per i diritti delle donne.
E fu Clara Zetkin Nel 1910 a Copenaghen ad una conferenza femminile della seconda internazionale a proporre una data che ricordasse a tutti la necessità di lottare per emancipazione della donna, a partire dai diritti sindacali e politici negati, come ad esempio il suffragio universale, rammentando che senza emancipazione della donna non vi potesse essere emancipazione sociale neanche per le classi subalterne della società.


Nel 1921 alla conferenza internazionale delle Donne Comuniste tenute a Mosca che si decide che la data per ricordare il ruolo delle donne e la lotta ancora da portare avanti divenga l’8 marzo, in ricordo delle donne di Pietroburgo che per prime il 23 febbraio del 1917, secondo il vecchio calendario Giuliano, e l’8 marzo, secondo il nuovo calendario Gregoriano introdotto da Lenin nel 1918, scesero in piazza contro la guerra. 


Ovviamente durante il periodo che va fino alla fine della seconda guerra mondiale, in molti paesi, anche per l’avvento delle dittature nazifasciste non viene festeggiata oppure assume caratteri diametralmente opposti a quelli proposti dalle fondatrici. La donna angelo del focolare, diviene il puntello in quanto progenitrice per la “grande proletaria”, come Mussolini chiamava l’Italia. 


La donna era destinata ad essere una vigorosa casalinga al servizio del marito lavoratore, all’interno di una visione gerarchica contraddistinta da di una forte concezione patriarcale. Rigida divisione dei compiti quindi, che definisce ideologicamente comportamenti, aspettative e prospettive individuali e sociali.


Persino nella Resistenza le donne che combattono contro fascisti e nazisti, sono prima di tutto compagne dei partigiani, prima che staffette o combattenti in prima persona. 20 anni di indottrinamento, di esclusione sociale, per cui si tendeva ad escludere dal mercato del lavoro le donne, anche da quelle occupazioni in cui da sempre erano presenti, come nell’istruzione e nella cura non potevano non lasciare strascichi.


Solo con il 68/69, il nuovo biennio rosso, con le lotte studentesche prima, e operaie dopo, ha ripreso vigore e forza il movimento femminista, che ha inglobato al suo interno le rivendicazioni e le lotte sociali sviluppate accanto agli uomini con quelle “contro ” gli uomini, ponendo in risalto aspetti poco democratici della partecipazione alla lotta stessa che si ritrovavano nel sindacato come nei partiti, sia fossero istituzionali o extra parlamentari.


Quello che più appare interessante rivisto ai giorni nostri è vedere come alcune delle lotte del movimento femminista incarnassero, forse anche inconsciamente, quello che oggi si mostra come una evidenza storica: unificare le lotte per i diritti collettivi con quelli per i diritti individuali, la lotta contro le discriminazioni di qualunque genere con le lotte per la trasformazione complessiva della società.

Mirco Bonomi